Il drammatico sentimento si aggrava quando nessuno è in grado di capire, quando si ritiene opportuno sminuire e giustificare scellerati atteggiamenti di un uomo vile e crudele: “sei sicura?”, “non puoi rivolgerti a lui in quel modo”, “dovresti pensare a come si sente
lui”, “in ogni caso tra pochi giorni sarà di nuovo a casa con voi”.
Queste sono solo alcune delle frasi che Valentina ha dovuto subire e ha voluto ricamare.
Una vittima non può agli occhi degli altri sembrare la responsabile dei danni subiti: perché discolpare?
Perché non riconoscere l’errore e precipitare impettiti in un baratro di negligenza ed imprudenza?
L’opera è un connubio di esperienze personali e ricerca; l’ autrice ha approfondito l’attuale situazione in Italia insieme ad Antonella Veltri, presidente di D. I. Re – Donne in rete contro la violenza, un’associazione presente in tutto il Paese con 80 centri antiviolenza a sostegno di tutte le vittime.
I dati e le informazioni emerse dalla ricerca non sono rassicuranti:
purtroppo il fenomeno risulta essere ben distribuito su tutto il territorio Nazionale e i pregiudizi di genere continuano ad essere un peso ingombrante al momento della denuncia, spesso anche durante i processi.
La fruizione dell’opera rappresenta a pieno il meccanismo inceppato,
l’incomprensione di tutti coloro che circondano la vittima. La tovaglia ė fissata mediante i due lembi a due pareti adiacenti, una sedia viene posta all’angolo dietro il tessuto. Sedendosi, nel piccolo spazio venutosi a creare, in un momento
di intima interpretazione soggettiva è possibile leggere le frasi che dolorosamente ornano il cotone. Esternamente, invece, sono visibili solo i punti del ricamo, le
cicatrici.